Un estratto di "Con i miei occhi"



Mio padre era uno di quegli uomini convinti che dalle scarpe riesci a capire molto delle persone. Mi ricordo che mi aveva raccontato che quando era giovane aveva lasciato una ragazza molto bella per via delle scarpe che portava. Mi raccontò che erano delle scarpe a punta che tradivano una certa attenzione alla moda e all'esteriorità, forse una propensione alla frivolezza. Così aveva deciso che non poteva stare con una donna così attenta all'esteriorità, l’aveva ritenuta (a torto o a ragione) troppo superficiale.
A 18 anni ha preso e se ne è andato via dalla Sicilia. Era un ragazzino. Il figlio maggiore e, forse per questo, cresciuto troppo in fretta Me lo immagino un po’ sperduto, con la sua piccola valigia marrone che se ne andava solo, magari con la testa bassa e infreddolito e partiva per la sua vita. Cosa avrà provato? Me lo immagino guardarsi attorno come faceva lui, con la sensazione di vuoto. Studiare l’universo intorno a lui. Sedersi su quel treno pieno di speranze e di paure, con l’adrenalina addosso e guardare fuori dal finestrino. Il mondo scorreva davanti ai suoi occhi e lui si chiedeva, nel suo completo più bello cosa sarebbe stato della sua vita. Certamente si, si sarà sentito solo. Eppure è partito. Forse non avrà avuto scelta, forse non sopportava più la vita che conduceva. Forse cercava una possibilità per se stesso. Chi partirebbe così oggi?

Era un padre molto presente. Mi ricordo che era presente a tutte le riunioni, ci accompagnava sui bus per farci vedere come arrivare nei vari posti, ci preparava da mangiare. Per noi c’era. Era un bravo papà, mi dispiace solo poterlo dire adesso. Non giocava tantissimo con noi. Però alla fine le persone sono solo quello che sono. Possiamo prendere il buono di quello che c’è e che abbiamo ma non possiamo chiedere che ci siano cose che di fatto non esistono. Così lui era quello che era. Se ci ripenso non ho mai fatto grandi conversazioni con lui. Non me ne ricordo nessuna. Sicuramente lui aveva difficoltà a relazionarsi con noi ma ci voleva bene a modo suo, ne sono sicura.
Mi ricordo che parlava sempre di politica e io pensavo “che palle” e che parlava molto spesso della sua giornata a lavoro. Era l’uomo delle parole crociate, a volte sbirciava le soluzioni e a pensarci mi viene da ridere. Nei weekend facevamo sempre qualcosa. Un giro in montagna, al fiume o al mare. Oppure andavamo a mangiare la pizza. Era bello. Trovarsi insieme in quelle circostanze. A mio padre piaceva mangiare, piaceva il vino. Quando mangiava gli si illuminavano gli occhi. E quando gli piaceva qualcosa diceva “è speciale” e annuiva col capo.

Di mio padre mi ricordo i gesti, la gestualità. Si arrotolava la manica della camicia attorno all'avambraccio (quella con le maniche corte) d’estate e attorno al polso di inverno. Me lo ricordo sempre elegantissimo. Credo di non averlo mai visto in felpa e proprio raramente in t-shirt.
Mi ricordo che le mattine si alzava presto, andava in salotto e faceva uno stretching tutto suo che sembrava legnoso come Maria de Filippi. E io e mia sorella lo prendevamo in giro. E lui ci rimaneva male. 
Mi ricordo il suo viso quando qualcosa lo feriva, sembrava veramente triste.
Poi mi ricordo che al mattino faceva dei gargarismi assurdi e sputacchiava nel lavandino, si faceva la barba e batteva ritmicamente la lametta sul lavandino per pulirla.

Si spruzzava un po’ di profumo, portava sempre il solito orologio e faceva sempre colazione con il latte e due fette biscottate. Fischiettava ogni tanto e poi cantava delle canzoni di Jimmy Fontana tipo “Una rotonda sul mare”.
Mia sorella mi racconta che era orgogliosa di avere un papà vigile. Un papà in divisa. Io, ad esserne orgogliosa l'ho imparato col tempo. Adesso che capisco cosa deve essere stata la sua vita. Era un tipo instancabile e indipendente, intraprendente. Parlava benissimo e l’accento siciliano l’aveva completamente perso. Non so, forse si era dimenticato di una parte di se. Non so come mai. Di suo padre diceva che era un gran lavoratore ma non parlava praticamente mai di lui. Mi sono chiesta se tutta la sua vita l’aveva vissuta da solo a chi chiedeva consigli? I suoi non erano con lui. Eppure ogni settimana faceva la telefonata di rito a sua mamma, per dirle che pensava a lei. Ascoltava i malanni di cui certamente lei si lamentava e la prendeva un po’ in giro.
Mio padre aveva studiato all’istituto serale per diventare odontotecnico. Mi ricordo di aver visto tutti i libri su cui studiava, sottolineati. Però dentista proprio
non me lo vedo.
Mio padre era uno che non si arrendeva mai. Anche questo forse l’ho imparato da lui o arriva da lui.

È incredibile quanto mi manchi ora. Quando perdi qualcuno il tempo non
serve veramente. Non serve certamente a dimenticare, serve piuttosto a capire cosa ti manca di quella persona e cosa può essere stata per te. Non sarebbe nemmeno bello se il tempo potesse aiutarci a dimenticare perché possiamo veramente dimenticare qualcuno che abbiamo amato?

Per cui più passa il tempo più capisco che lo vorrei accanto. Più divento grande e comprendo la vita e le mie scelte più vorrei che mi fosse vicino. Lo abbraccerei un po’, anzi tanto. Stretto stretto. E gli direi “ti voglio bene papà, sai”.

Ultimamente lo vedo spesso, lo riconosco un po’ nell'immagine che mi restituisce lo specchio. So che mi sta vicino. Lui è il numero 24 quando scopro casualmente un numero civico in una strada, è il signore con il giaccone colorato ed il berretto, è il tonno in scatola, il pollo con le patate, le camicie a righe da uomo, le penne Montblanc. 
Mio padre è certe frasi che diceva solo lui tipo:

Sotto la neve pane, sotto la pioggia fame.
Definire gli ultimi gg di gennaio i giorni della merla.
Immaginarlo che mi dice di dare una pulitina ai capelli: per lui significava tagliarli.
Lui che mi dice che l’amore di un padre non fa l’affetto di mille figli.

Mio padre stava nelle regole: si devono dormire otto ore per notte, bisogna
lavarsi i denti prima di andare a dormire, non prendere troppi caffè, non fumare.
È lui che mi urla di andare a sistemare la mia camera o di andare a studiare. È
sapere con che bus arrivare in un posto. Mio padre era in tutte queste cose qui.
Era un buon padre. Io, per un sacco di anni, sono stata una figlia pessima.
[...]

Tu per me ci sei
sempre stato. Sono stata io ad essere incapace di vederti. I tuoi silenzi erano il tuo modo di esserci per me. Anche nel tuo essere lì accanto a me senza dire e fare nulla. Tu che sei cresciuto da solo. Esserci per me voleva dire essere un padre.
Preoccuparti che stessi bene, che mangiassi, che sapessi come arrivare a scuola. E tu con me ci sei sempre. Ci sei ogni volta che mi specchio o che rido. O che guardo qualcosa assorta. Ci sei ogni volta che mi si illuminano gli occhi per qualcosa.

Ci sei quando nonostante le difficoltà trovo la forza di andare avanti. Ci sei nel mio modo di essere franca e diretta, di dire quello che penso con schiettezza. Ci sei nella mia voglia di indipendenza. Ci sei nella mia calma. Ci sei quando parlo del tempo e cito qualche proverbio che parla di semina e raccolta. Ci sei nella segnaletica stradale, quando guido la Panda e penso a te che mi dici “mantieni la
distanza di sicurezza” come se fossi un vigile che vuole farmi la multa. O quando dopo una frenata brusca in macchina mi dicevi con tutta la calma del mondo“ecco, questo non deve succedere”.
Credo che semplicemente tu e mamma come genitori abbiate fatto il meglio
che potevate. Che siamo sempre la migliore versione di noi stessi o quantomeno
ci proviamo.


Commenti

  1. Ciao Clowncipessa,
    in uno dei tuoi precedenti “pensieri scritti” affermi che esistono almeno due possibili "noi": uno è quello che siamo, uno è quello che ci hanno insegnato ad essere.
    Leggendo questo tuo estratto (cercherò quanto prima di leggere l’intero libro) a mio umilissimo parere si evidenzia come spesso i due tendano a sovrapporsi se non addirittura a coincidere e quindi “siamo quello che ci hanno insegnato ad essere”.
    I genitori lasciano sempre segni indelebili su noi figli e in te sembra esserci stata una profonda contaminazione. Come reputo (parere sempre molto soggettivo) sia giusto che sia.
    Tu sei risuscita ad esaltarne i contenuti, di questa contaminazione. Con la freschezza che ti contraddistingue, in quanto giovane, ma con altrettanta tannica sapienza che va oltre l’età anagrafica.

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  2. Mio papà è morto quasi 11 anni fa, io ho 37 anni :-(

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