The art of losing isn’t hard to master;
so many things seem filled with the intent
to be lost that their loss is no disaster.
Lose something every day. Accept the fluster
of lost door keys, the hour badly spent.
The art of losing isn’t hard to master.
Then practice losing farther, losing faster:
places, and names, and where it was you meant
to travel. None of these will bring disaster.
I lost my mother’s watch. And look! my last, or
next-to-last, of three loved houses went.
The art of losing isn’t hard to master.
I lost two cities, lovely ones. And, vaster,
some realms I owned, two rivers, a continent.
I miss them, but it wasn’t a disaster.
—Even losing you (the joking voice, a gesture
I love) I shan’t have lied. It’s evident
the art of losing’s not too hard to master
though it may look like (Write it!) like disaster.
Non è difficile apprendere l'arte di perdere
così tante cose sembrano così pregne della possibilità di essere perdute
che la loro perdita non è così tremenda
Perdi qualcosa ogni giorno. Accetta lo sconforto di perdere le chiavi di casa, il tempo passato male
Non è difficile apprendere l'arte di perdere.
poi pratica quell'arte ulteriormente, perdi più in fretta
posti e nomi e i luoghi dove avresti voluto andare.
Ho perso l'orologio di mia madre. E nota: se ne è andata anche l'ultima o meglio penultima delle mie tre amate case
Non è difficile da apprendere l'arte di perdere
ho perso due bellissime città e per giunta alcuni reami che possedevo, due fiumi, un continente.
Mi mancano ma non è stato un disastro.
Perfino perderti (una voce scherzosa, un gesto che amo) non posso che ammettertelo.
E' evidente che non sia difficile da imparare l'arte di perdere nonostante possa sembrare (scrivilo!) un disastro.
Ecco qui una conversazione che Elisabeth Bishop intavola con i suoi lettori.
La poesia si compone di sei strofe, quattro delle quali con una rima che lega il primo e l'ultimo verso (ex: master-disaster; faster-disaster)
Il componimento è caratterizzato dal ripetersi di una serie di frasi:
The art of losing isn’t hard to master
it wasn’t a disaster.
Che richiamano l'idea della perdita, del concludersi di qualcosa e che suonano quasi come un mantra volto forse ad esorcitazzare la paura di quella stessa perdita, della morte, della fine.
Sono temi molto familiari alla Bishop che perde il papà a otto mesi e la madre a tredici anni.
L'autrice si rivolge direttamente allo spettatore coinvolgendolo nella sua vita in tutti gli episodi: la perdita della madre, rappresentata dall'orologio perduto. I viaggi (grazie all'eredità lasciata dal padre riesce a viaggiare spesso). In maniera ironica e forse un pò cinica dice che la perdita non è poi un gran disastro: una realtà che può capitare ma a cui si può sopravvivere.
Eppure perdere è qualcosa che ai suoi occhi è come un'arte, uno strumento attraverso cui far uscire il dolore: è qualcosa che si può imparare e padroneggiare con il tempo.
C'è una tristezza sottile, una malinconia, un sorriso nostalgico in tutte le cose i continenti i fiumi le città che nella sua vita lei ha perduto.
E alla fine tra le cose più difficili ha perduto anche una persona, e questo sì che è stato un vero disastro.
Con un tono colloquiale e frasi dirette allo spettatore l'autrice si avvicina allo lettore come se confessasse qualcosa ad un amico: "write it" "and look". Questo rende il contenuto più familiare, più intimo e al contempo più facile da accettare come se fosse un dolore che potesse condividere con il resto del mondo e che potesse, in virtù di tale universalità, far sentire l'autrice un pò meno sola.
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