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Ricordo dunque sono: e quando ti sequestrano i ricordi?

Cosa deve essere quando ti viene portato via tutto?  Quando non hai più un nome ma un numero, quando ti rasano a zero, quando ti portano via i vestiti e li sostituiscono con delle divise e nulla ti ricorda più chi sei? Passiamo la vita a cercare di costruirci un'identità attraverso il modo in cui ci mostriamo agli altri: abituati a dire chi siamo attraverso i nostri capi di abbigliamento, attraverso il nostro taglio di capelli e ad Auschwitz quelle persone si sono viste rubare quella stessa identità in un secondo. Hanno allontanato le madri dai figli, hanno privato le persone dei loro ricordi, dei loro oggetti personali. Rimanevano senza una storia, senza un'identità, senza ricordi soprattutto. Sono proprio quelli a dire chi siamo. I nostri ricordi. Quello che abbiamo vissuto ed imparato attraverso l'esperienza, quello che ci hanno insegnato i nostri genitori. È così che costruiamo il nostro essere, la nostra scala di valori, i principi secondo cui conduciamo la nostra esistenza.

Ho pensato ad Auschwitz per cercare di capire come debba essere la vita di chi senza volerlo e senza esserne la causa, è privato della propria essenza e dei propri ricordi per via di una malattia degenerativa a livello cerebrale.
Può sembrerà un'associazione di idee molto forte (troppo) eppure c'è effettivamente un'altra cosa che ti toglie i ricordi e pertanto quello che sei: l'Alzheimer o le demenze senili più o meno gravi. Per motivi strettamente personali purtroppo conosco bene questa patologia. E i risultati sono in parte simili a quelli che, immagino, provocasse la vita in un campo di concentramento nazista: piano piano perdi la tua identità e personalità. E' come se la sua mente si sgretolasse inesorabilmente, senza una progressione logica: i processi cerebrali smettono di funzionare, i neuroni di trasmettere le informazioni da una parte all'altra del cervello e tu non sei più tu.
E non c'è nulla di fare. Non si guarisce dall'Alzheimer. Ci si convive, per quanto sia possibile.
Diversamente dai deportati nei campi di concentramento i malati di Alzeheimer ad un certo punto smettono di sapere che si sono dimenticati chi sono.
Una volta a Torino c'era un'associazione fantastica che si chiamava Infine: con corsi per i familiari dei malati di Alzheimer, servizi di supporto psicologico proprio per le famiglie (che spesso sono quelle più colpite indirettamente ma definitivamente, da questa patologia), volontari pronti ad aiutare chi aveva bisogno di una mano. Ora Infine ha chiuso.
Ho condotto personalmente alcune indagini per capire quanto la sanità pubblica investa in ricerche scientifiche su questa patologia. Prima di iniziare i miei approfondimenti, sapevo da fonti più o meno autorevoli, che i farmaci non valgono gran che e che non si spendono soldi in ricerche su questa malattia perché i risultati dei farmaci sono stati scarsi.
Successivamente ho potuto farmi un'opinione con informazioni un poco più precise. Il materiale informativo che mi è stato fornito è molto vasto, forse  troppo. Esistono molte ricerche, molti trattati scientifici che spiegano quali possano essere i fattori di rischio, come prevenire questa malattia. Come giocare d'anticipo.
Tutte le informazioni che ho raccolto però devo dire, seppur più precise di semplici voci di corridoio, mi hanno più che altro confuso e creato una prospettiva duplice sull' Alzeheimer e simili.  Come se ci fossero due diverse direzioni che però sono in disaccordo. Riporto di seguito quanto ho scoperto e che idea me ne sono fatta.

Grazie ad un colloquio con la presidentessa dell'Asvad di Torino ho scoperto quanto segue:
- Non c'è un ente a livello nazionale che coordini tutte le disposizioni della sanità pubblica su questa malattia: ogni regione "sceglie per sè";
- La ricerca della sanità continua ancora, anche se i finanziamenti scarseggiano (il perché non mi è chiaro);
- Esisteva un farmaco per curare l'Alzeheimer l'educanumab che è stato ritirato dalle aziende farmaceutiche perché inefficace.
Ho scoperto inoltre che la Francia nel 2018 ha sospeso il rimborso dei farmaci che curano l'Alzheimer perché non utili se non addirittura dannosi.

Eppure ci sono anche articoli che sostengono che la ricerca effettivamente sta andando avanti.
All'inizio delle mie investigazioni ed interviste i miei dubbi erano: quali sono gli aiuti concreti per chi è affetto da questa o da altre forme di demenza senile? i farmaci aiutano veramente? A che punto sono i ricercatori? quanti soldi investe la sanità pubblica per curare, prevenire, informare e fare ricerche in merito a chi ha una qualche forma di demenza?

Non sono riuscita a rispondere a tutte le domande però sono riuscita ad arrivare a delle osservazioni, che tutttavia - sono un pò in contraddizione tra loro:

-a Torino la struttura che si occupa dell'Alzheimer, l'Asvad appunto, è una onlus che si appoggia su una Fondazione che è Specchio dei tempi: che ruolo ha in tutto questo la sanità pubblica?
- La ricerca sulle demenze c'è ma mancano i fondi.
-I farmaci sono utili quantomeno in Italia ma al contrario in Francia non li ritengono tali e, ad ogni modo, pur essendo efficaci le medicine le ricerche vanno avanti. Fino a che punto i farmaci che ci sono ora curano?

Non sono riuscita invece a capire quanti e quali sono gli investimenti pubblici su questa grave patologia: Dennis Gillins, inviato del World Dementia nel World Alzheimer Report del 2014 che trovate qui sostiene che nel 2050 135 milioni di persone saranno affette da una qualche forma di demenza e che nel 2030 i costi a livello mondiali per curarli saranno di 1 trilione di dollari. Da dove li prenderanno o da dove li prenderemo tutti questi soldi?
 
Prima delle mie indagini pensavo che un malato di Alzheimer valesse meno degli altri ammalati. Che non ci fossero cure. Che i farmaci in circolazione, se andava bene, bloccassero il progredire della malattia, fermassero i processi degenerativi. Che i team medici, i cosiddetti centri Uva (= unità di valutazione dell'Alzheimer) monitorassero semplicemente a che stadio è la demenza, quanto è andata avanti. Dopo i miei personali approfondimenti, non posso del tutto contraddire quello che pensavo inizialmente. Di sicuro non ho tutti gli elementi per dire che chi ha l'Alzheimer sia curato al meglio, che si utilizzino tutte le risorse economiche, a livello assistenziale, scientifico ed economico perché i malati possano stare meglio.
Purtroppo l'esito delle ricerche non mi ha fatto cambiare idea.
Ad ogni modo rimane il fatto che il problema per chi ha un membro della propria famiglia malato di questa patologia è che le cose che succedono, i cambiamenti, le trasformazioni del paziente mentre gli ammalati se le dimenticano, le famiglie se le ricordano. E non è fornito loro alcun supporto psicologico o medico né alcuna preparazione su quello che li aspetta. Vedranno il proprio caro perdere se stesso,perdere il contatto con la realtà, dire cose senza senso, perdere le facoltà cognitive,le capacità comunicative. E non ci sarà nulla da fare. Ogni tentativo sarà inutile, un dispreco inesorabile di forze fisiche, mentali ed economiche per supplire a quello che tuttora credo sia un' enorme carenza nella sanità italiana.
Caro Ministro della salute, perché non pensa a stanziare dei finanziamenti anche per questi malati ? (sempre che non l'abbia già fatto ed io non sia riuscita a scoprirlo).
I dati reperiti dicono che in percentuale potrebbe aumentare il numero delle persone affette da Alzheimer. Qual è la soluzione? Sperare di ammalarsi di qualcos'altro per poter essere curato?O per poter essere curato meglio?
Effettivamente il paragone tra le vittime di Auschwitz e quelle dell'Alzheimer è un pò forte: anche in quel caso una speranza di salvezza nel primo caso poteva esserci (se si era abbastanza fortunati da scappare o da sopravvivere in qualche modo). Dalle demenze o dall' Alzeheimer non si scappa e non se ne esce mai vivi. Quantomeno finora.

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