Eccomi ritornata. Dopo un lungo periodo di riflessioni, dopo una lunga assenza eccomi nuovamente qui. Come mi succede di solito scrivo dopo aver vissuto un periodo un po' complicato una specie di lungo tunnel nero, di infinito traforo di cui ora, dopo un bel pezzo, riesco a scorgere la luce.
E so che quella luce ce la portiamo sempre dentro, solo che a volte la si nasconde dietro l'irresistibile propensione a lamentarsi e a non voler far nulla per cambiare.
Ho lasciato che quest'ultimo periodo della mia vita dicesse qualcosa di me che non mi piaceva, ho lasciato che una fetta della mia giornata desse un' immagine di me che non volevo accettare e che alla fine mi sono detta che non mi rappresenta veramente.
La prima metà dell'anno è stata come nuotare nelle sabbie mobili. Una fatica incredibile per non affogare. Ma sono rimasta li a lottare. Forse aveva ragione mio padre a dire che ho la testa dura come i calabresi: sarà che sono un po' calabrese d'adozione e quelli che io chiamo “nonni” forse mi hanno passato un po' della loro tenacia e della loro ostinazione.
Per giorni e giorni mi sono detta che non ce l'avrei fatta, che era un momento troppo difficile. Mi sono sentita sola, allontanata. Come quando da piccola guardavo mia sorella giocare con gli altri bambini del condominio: messa in un angolo a guardare il mondo da fuori e a non prendervi parte.
Mi sono sentita derisa anziché ridere di me stessa e poi alla fine ho scoperto che nessuno mi derideva. A volte vediamo il mondo in maniera totalmente sbagliata e quando si è convinti di una determinata cosa nulla può farti veramente cambiare idea se non te stesso. Ero arrabbiata con tutti e con il mondo intero perché non mi sono sentita amata.
Come Calimero che dice che nessuno gli vuole bene.
La verità era che non sentivo di valere. Mi dicevo che non ero abbastanza. Ho lasciato che quella parte della mia vita dicesse molto di me: troppo. Così quando in una gara in cui forse non ero nemmeno stata contemplata ho perso mi è sembrato di perdere tutto, di non avere più nulla. Perché a volte ci identifichiamo nella nostre sconfitte. Ci sembra di essere degli sconfitti nella vita e nel mondo. La sconfitta però è una grandissima bugiarda, così come il Trionfo. Il nostro valore non dipende dalle volte in cui vinciamo o perdiamo. Il valore di una persona è fatta dalle volte in cui cadendo si rende conto che quella caduta è un'occasione per imparare e ricominciare. Dalle volte che si cade e ci si fa male ma non ci si arrende. Dalle volte che si riconosce che chi ha vinto è stato più bravo di noi in una determinata cosa. Dal fatto che una sconfitta non è altro se non quello che è: un momento in cui non abbiamo vinto. Ma il fine ultimo non è davvero vincere o perdere perché non sono i risultati a dire di noi. E' la volontà di mettere un punto e voltare pagina. Ricominciare. Nonostante il fatto che ci si senta soli e forse incompresi. Nonostante il fatto che nessuno stia credendo in noi (poi magari non è davvero così), nonostante il fatto che sembra di non avere nulla. Felice è soltanto chi sa godere di quello che ha, per quanto possa sembrare poco.
Tempo fa ho avuto una conversazione con un caro amico. Una di quelle persone che sembra bastare a se stessa, che sembra non aver bisogno di nulla e di nessuno. Mi ha detto che sono state le difficoltà a renderlo forte e che ha costruito la persona che è granello di sabbia per granello di sabbia. Io credo che abbiamo sempre bisogno delle persone. Credo che ogni individuo nasconda un mondo, con la sua storia, le sue sofferenze, i suoi pregi e le sue vulnerabilità. Non penso che si possa vivere racimolando granelli di sabbia in completa solitudine. Per un sacco di tempo ho cercato le persone e la loro approvazione perché volevo che mi dicessero quello che da sola non ero in grado di dirmi. Ultimamente ho scoperto che se siamo in grado di amare qualcun altro e di perdonare anche quando una determinata persona ci ferisce allora siamo in grado di amare anche noi stessi: si tratta solo di orientare quell'amore verso di noi.
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