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Esisto solo quando vinco

Un mese fa circa ho lasciato un corso che seguivo da un pò e su cui avevo puntato molto. Il fatto è che mi ero accorta che sembrava un lavoro. Un posto in cui il dovere era diventato più importante di qualunque altra cosa. Un posto in cui dovevo essere, dovevo sapere, dovevo dimostrare. Per me non c'era divertimento, non c'era libertà, non c'era creatività. Non bastava che ci fossi, non era sufficiente essere ed esserci ma dovevo essere o fare qualcosa. Sembrava un altro momento in cui a farla da padrone era il modo in cui mi percepivano gli altri, i risultati che ottenevo, la mia capacità (o incapacità) di emergere. Ma io volevo solo divertirmi e sentirmi in qualche modo connessa al resto del mondo.

Se ci ripenso non credo ci sia stato mai nulla nella mia vita che io abbia fatto per il gusto di farlo, perché dedicarmi ad una certa attività mi rendesse semplicemente felice, mi facesse sorridere e basta. Un posto dove non mi sentissi in una gara, in cui non mi sentissi contro qualcuno o contro tutti con il solo scopo di vincere. Se è bello vincere credo lo sia altrettanto giocare per giocare e basta, come fanno i bambini.
Eppure credo che siamo inseriti in un sistema molto rigido che tende ad inscatolarci tutti, a livellarci, a ficcarci in caselle fisse: bello/brutto, giusto/sbagliato, bianco/nero. E a metterci in una gara continua dove l'imperativo è vincere, primeggiare, stare al di sopra. Un sistema per cui esisto solo quando vinco.
Ecco. Sono stanca. Direi che ci si merita tutti un pò di semplice divertimento. Anche io.
E ora? E ora non lo so. So solo che ho chiuso questa porta. E chiuderla non vuol dire che so dove sto andando ma semplicemente che accetto questo momento come del tempo per capire chi sono e in che direzione intendo muovermi.

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