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meloDrammi di una caregiver

Spesso mi chiedo come sto. E so che è un complesso di sensazioni. Sono triste arrabbiata frustrata scontenta svuotata. Tutto insieme. Con la costante sensazione che tutto ciò che faccio non ha grande utilità anzi non cambia la situazione. Mi arrabbio per chi mi chiede come sto. Perché come devo stare? Immagina di dover aggiustare ogni giorno un giocattolo che è già rotto in mille pezzi e che ogni giorno si rompe un po' di più. Come staresti al mio posto? Mi arrabbio per chi non me lo chiede perché forse non si interessa a me. Ma forse è meglio così, non chiedermi- che magari ci penso di meno.
Da qualche anno ormai ed in questo 2020 ancora di più ho una figlia capricciosa di 68 anni. Che assorbe gran parte delle mie energie mentali perché non c'è soluzione. In mio soccorso è arrivato uno scudo magico a proteggermi un po' da questa sofferenza. E il più delle volte mi sento fredda e lucida. Tutte le cose della mia vita hanno preso una piega diversa, sono state ridimensionate. Bello no?
Non mi va di dire che tanto andrà sempre peggio, dato che una cura non c'è. Ma sto bene, sto bene, STO BENE.
Cerco di non farmi risucchiare dalla malattia di questa figlia, anche se sono preoccupata anche quando non c'è nulla di cui preoccuparsi (forse è questo che fanno i genitori, mi chiedo).
A volte l'unico conforto è il cibo, un bicchiere di vino, forse due. E il senso di solitudine, di impotenza è grande. La cosa peggiore è guardare i suoi vestiti, le sue scarpe col tacco, i suoi rossetti rossi. Che non usa più. E pensare a lei prima di tutto questo. Al suo modo di camminare deciso, ai suoi capelli corti che le scoprivano il volto. E chiedersi se è come se non ci fosse più e chiedersi cosa fare di quelle cose che non parlano più di lei e decidere di buttarne un po'. E il dolore ad ogni cosa messa via, come se stesse davvero morendo un po' ad ogni rossetto buttato, ad ogni tacco che non indossa più, ad ogni giacca che non veste. E desiderare cose che non possono essere dette. E non sapere cosa desiderare, cosa sperare. E non sapere se guardare indietro a quello che non c'è più o godere (accontentarsi forse) di ciò che c'è adesso.
Dimenticarsi un po' ogni giorno di più. Perderla un po' di più. Non ci sono parole che possano confortarmi. È la vita. Tutti che mi dicono: "è così giovane". Già. Oppure "non voglio nemmeno sentirla quella parola, non ci voglio pensare". E tutti che hanno già vissuto la stessa cosa, con qualche parente o qualche amico di qualche parente ma quasi nessuno ha la cosa giusta da dire. Non trovi la parola giusta? Non dire niente che è meglio. Io?
Non ho bisogno di parlare con qualcuno no. Lo so come mi sento. Ed ogni giorno una scelta nuova e chiedersi cosa avrebbe voluto lei? Quella lei che mi ha dato la vita. Ed averla qui è come ricordarmi che non c'è più e ricordarmi che non è più la stessa. E ricordarmi che sono io ad occuparmi di lei. E a farmi arrabbiare perché le cose avrebbero dovuto andare diversamente.
E sentirsi in colpa per le cose fatte di nascosto perché non c'è altro modo di farlo. E mentire, nascondere, dissimulare per lei solo per lei, per il suo bene, per poterla salvare un po', per aprire un paracadute per le volte che potrà cadere. Ma lei quel paracadute non deve vederlo perché pensa che sta bene, che non ha bisogno di nessuno, che i suoi soldi le sue figlie se li godranno quando non ci sarà più. E ascoltate tutto questo e rimanere lì. Restare.E andare avanti senza sapere perché vado avanti.
La badante dice che è una bella croce. Grazie. Un'altra chicca da ascoltare. E uno stuolo di badanti che sguisciano via come anguille.
Io sono grata all'alcool e a tutti gli altri oppiacei.

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