C'era una volta una leonessa, veniva dalla Sicilia e si chiamava Mostarda. Aveva combattuto molto nella sua vita, molte guerre. Aveva il cuore ferito per le battaglie che aveva dovuto affrontare . Un giorno si ammalò gravemente di un male incurabile, si chiamava Alzeheimer.
Il suo corpo era sempre forte ma la sua mente sempre più debole. C'era solo un farmaco che poteva calmarla quando Mostarda era agitata, calmarla non curarla. Ma Mostarda che era sempre stata una leonessa coraggiosa e testarda non voleva vedere la sua malattia, non ci riusciva. Conduceva la sua vita come se nulla fosse accaduto. Rifiutava la medicina, rifiutava l'aiuto che le sue figlie le davano. Diceva loro di andarsene dalla Savana che quella era casa sua, e che loro non avrebbero mai preso il suo posto. Tutta quella rabbia, quella sconsideratezza era la sua mente che parlava.
Per starle vicino bisognava fare finta che non ci fosse un problema. Ormai le sue figlie avevano imparato a nascondere,a dissimulare, a buttarsi dietro le spalle tutto quel dolore o a cacciarlo dentro gli occhi, a soffocarlo nei cuscini. E avevano imparato a nascondere le medicine in quello che Mostarda mangiava così non avrebbe visto che era davvero malata e non poteva più farcela da sola, che nascondere le cose non le avrebbe migliorate e forse da qualche parte dentro di lei la sua anima aveva visto quanto le sue figlie l'amassero.
Schiaccia la pastiglia, trita la pastiglia, nascondi la pastiglia e in fretta perché lei non veda nulla. E speriamo che mangi tutto!
I poliziotti della Savana le avrebbero arrestate le figlie, se avessero visto questi sotterfugi. Ma era tutto fatto per amore. Anche se era un amore che ti sconquassava il cuore e arrivava nelle viscere, nelle profondità più nascoste. Un dolore fatto di solitudine, di silenzi, di risposte mancate. Un dolore che però ha diritto di essere raccontato e condiviso.
Perché le figlie di Mostarda non si sentano sole. Perché tutti quei sotterfugi trovino un posto in cui andare. Perché la Savana sia grande abbastanza per tutti e non faccia più paura. Perché raccontare una storia, una storia vera o verosimile sia una possibilità che ci diamo. Perché di Mostarda c'è ne sono molte e chissà qualcuno può riconoscersi e darsi la possibilità di parlarne e di parlare di cose dolorose come questa.
Non tutte le favole sono a lieto fine, specie quelle che sono più vere di altre. Non tutte le storie hanno un lieto fine ma hanno tutte diritto di esistere e di essere raccontate. Perché a volte la Savana è buia e scura ma quando troviamo la strada per parlarne siamo salvi tutti.
Ciao principessa, ho letto come se bevessi questo scritto, grazie per la tua apertura, sappi che non sei sola, ti abbraccio, Nina
RispondiEliminaGrazie cara amica.
EliminaHai dato parola al grido di aiuto di tanti figli (soprattutto figlie...).
RispondiEliminaBrava, aiuta tutti a far comprendere quanto sia tremenda questa malattia, quanto si è soli ed impotenti....
Ma l'unione fa la forza, continua a cercare la strada nella savana buia...
Grazie per leggermi! Buona Savana anche a te!
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