Il poeta e filosofo David Whyte sulla rabbia, sul perdono e su ciò che davvero vuol dire la parola maturità
Perdonare è assumere un identità più grande rispetto a quella corrispondente alla persona che è stata ferita .
“La nostra vita emotiva tiene traccia delle nostre incompletezze” dice Marta Nussbaum nella sua lettera luminosa ai giovani.
Una creatura senza bisogni non avrebbe motivi per avere paura dolore speranza o rabbia.
La rabbia invece è una delle emozioni che giudichiamo più aspramente sia negli altri che in noi ma tuttavia comprenderla è centrale per mappare il paesaggio delle nostre vite interiori. Aristotele, piantando il seme per la saggezza pratica all'interno della civiltà riconobbe questo ruolo alla rabbia perché non si chiese se essa fosse buona o cattiva ma piuttosto come se ne potesse fare uso, per quanto tempo, verso chi direzionarla e come andasse manifestata.
Questa sottostimata qualità di mappare le emozioni attribuibile alla rabbia è ciò che David Whyte bel libro Consolation indaga. Lo stesso volume è dedicato alle parole e alla loro bellissima, nascosta incertezza . Nel testo l'autore indaga il significato profondo dell'amicizia, dell'amore e del dolore.
Rispetto alla rabbia ecco cosa scrive l'autore: “è la più profonda forma di compassione per gli altri, per il mondo, per se stessi, per la vita, per la famiglia ed i nostri ideali - tutti ugualmente vulnerabili. Priva di tutti gli imprigionamenti fisici e di ogni reazione violenta, la rabbia è la forma più pura di attenzione, la fiamma viva interiore della rabbia illumina sempre ciò a cui apparteniamo, ciò che desideriamo proteggere e ciò che desideriamo. Ha a che fare con l'essenza più profonda di quando ci sentiamo sopraffatti dalla nostra vulnerabilità, quando non riusciamo a trattenere qualcosa o quando una situazione va oltre i limiti della nostra comprensione”.
Una tale riconsiderazione rende Whyte non solo un apologista della rabbia ma anche un portatore di pace nella nostra guerra eterna con la sua vulnerabilità sottostante che è essenzialmente una guerra eterna con noi stessi perché la sua essenza stessa sta nella nostra umanità più tenera e più timida. Nel manifesto per la vulnerabilità di Renè Brown lei sostiene che la "vulnerabilità è il posto dove l'amore ,l'appartenenza, la gioia, il coraggio, l'empatia, l'affidabilità o l'autenticità nascono". Whyte dice ciò che abbiamo definito come rabbia in superficie è la risposta esterna alla nostra totale mancanza di potere interiore, una mancanza di potere connessa a un senso profondo di genuinità e di attenzione al punto che non si può provare alcun corpo esterno o identità o voce o modo di vivere per rappresentarlo. Ciò che chiamiamo rabbia è spesso semplicemente l'assenza di desiderio di vivere appieno le nostre paure o di ciò che per noi è sconosciuto a dispetto dei nostri desideri: ad esempio essere sposati, avere un figlio, desiderare il meglio, di fronte al desiderio di essere semplicemente vive di amare coloro con i quali viviamo. La nostra rabbia arriva in superficie molto spesso attraverso i nostri sentimenti che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato in questa vulnerabilità.
In una sua riflessione Whyte considera la natura del perdono: è un mal di testa e difficile da raggiungere perché non semplicemente si rifiuta di cancellare la ferita originaria ma in realtà ci avvicina alla sua origine. Approcciare il perdono è stare vicino alla natura stessa della ferita dato che l'unico rimedio, mentre ci avviciniamo al suo centro è di immaginare nuovamente la nostra relazione con la ferita medesima.
Stranamente il perdono non sorge mai dalla parte di noi che è stata ferita. La parte ferita può essere la parte di noi incapace di dimenticare e forse non è fatta per dimenticare come se, considerando il nostro sistema immunitario che deve ricordare e riorganizzarsi contro ogni possibile attacco futuro, l'identità di colui che deve perdonare si fondi proprio sul fatto stesso di essere stati feriti.
Strano inoltre che sia quella parte ferita, marchiata che non riesce a dimenticare a rendere il perdono un atto di compassione più che di semplice rimozione. Perdonare è assumere un'identità più grande di quella della persona che è stata ferita, maturare e portare alla fruizione di un'identità che può abbracciare i ricordi del colpi ricevuti e, attraverso una sorta di virtuosità psicologica, espandere la comprensione verso chi per primo ha inferto quel colpo.
Il perdono è una capacità, un modo di preservare la chiarezza, la generosità nella vita degli individui, un modo bellissimo di plasmare la mente verso il futuro che desideriamo per noi, significa annettere che se il perdono giunge attraverso la comprensione e la comprensione è solo una questione di tempo e di applicazione, allora possiamo perdonare all'inizio di ogni dramma, di ogni ferita.
Perdonare è mettersi in un campo gravitazionale di esperienza più grande di quello che ci ha ferito. Ci immaginiamo nuovamente nella luce della nostra maturità e ci immaginiamo il passato alla luce della nostra nuova identità. Ci diamo la possibilità di ricevere il dono di una storia più ampia della storia che ci ha ferito e del lutto che ne è conseguito. La natura della maturità così intimamente connessa al perdono è un altro dei saggi di Whyte.
La maturità è la capacità di vivere pienamente in contesti multipli: più specialmente l’abilità, nonostante il nostro dolore e perdita, di abitare coraggiosamente il passato il presente e il futuro tutto all’improvviso.
La saggezza che arriva dalla maturità è riconosciuta attraverso un rifiuto disciplinato di scegliere tra o di isolare tre dinamiche potenti che formano l’identità umana: passato presente e futuro.
L’immaturità corrisponde a scelte false: vivere solo nel passato o solo nel presente o solo nel futuro oppure vivere solo due dei tre.
La maturità non è un punto di arrivo statico dove la vita è vista da un’oasi di saggezza statica, calma e intoccabile ma un elemento vivo tra ciò che è successo, ciò che sta succedendo e le conseguenze del passato e del presente.
La maturità ci chiama infine chiedendoci di essere più ampi, fluidi, più elementari, meno spigolosi, meno unilaterali e di trovare un modo perché la storia ereditata e la storia presente possano comunicare tra di loro.
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