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Finestra










C’era una volta una donna bionda che osservava il mondo dal quarto piano della sua veranda: non era né troppo alta né troppo bassa, né troppo magra né troppo grassa, era una qualunque. Osservava l’umanità dalla finestra, viveva attraverso un vetro, con la sua sottoveste bianca e la sigaretta elettronica. Passava le sue giornate così, attaccata ad un vecchio Motorola del marito ed esalando fumo di tanto in tanto. Chissà con chi parlava ogni mattina, da dietro la tenda a righe marroncine della veranda.
 Un giorno, mentre come al suo solito osservava il mondo e la vita degli altri scorrere, con quella specie di sorrisetto sprezzante stampato in faccia, il cellulare le cadde e lei lo guardò precipitare dall’altezza del suo appartamento fino a terra, senza riuscire a proferir verbo. Si sentì un tonfo. La maestra Marisa con i capelli ricci e rossi, l’inquilina del 3° piano che passava di lì, cacciò un urlo:
“Ma che cavolo!” e si portò una mano al petto guardando immediatamente in alto, in cerca di un colpevole. Era una zitella che insegnava italiano alle elementari e per deformazione professionale era sempre abituata a redarguire tutti, a giudicare e a sentirsi migliore di chiunque altro.
“Signora bella! Ma le sembra il caso di lanciare il cellulare così? In testa alla gente?” e si piegò a raccogliere i due pezzi esatti in cui il cellulare si era spaccato, sventolandolo in direzione della Sig.ra Qualunque.
“Oh cielo! “ disse la sig.ra Qualunque, tutta trafelata ” Il cellulare di mio marito!” si mise le mani tra i capelli, si infilò la vestaglia di flanella rosa e si apprestò a scendere.
“Suo marito eh?” e la maestra Marisa si portò un indice al mento…pensava che dall’ultima volta che aveva visto il Sig. Qualunque era passato un mese almeno. Era un signore né troppo bello, né troppo brutto. Un paio di occhiali, un impermeabile beige. Molto cordiale, dall’aspetto perbene e il fare educato.
“Allora come sta suo marito, signora Qualunque?” disse la maestra Marisa, porgendo i brandelli del Motorola alla sig.ra Qualunque.
Questa, stringendosi nella vestaglia,  le disse “ bene” e piangendo prese i pezzi del cellulare e se li mise in tasca. Cercava di asciugarsi le lacrime ma non riusciva a smettere.
“E’ un po’ che non si vede suo marito, eh?” disse la maestra Marisa con fare sospettoso. Il fare sfuggente e triste della Sig.ra Qualunque la induceva a farsi ancora più domande, ad essere curiosa.
“Ha avuto una brutta bronchite” disse la signora Qualunque, con lo sguardo perso nel vuoto e l’aria preoccupata.
“Ora mi scusi sig.ra Marisa ma devo rientrare” disse la Sig.ra Qualunque,  stringendosi ancora di più dentro la vestaglia.
“Ma certo, sig.ra Qualunque la lascio alle sue faccende” disse la Maestra sventolando la mano e guardando ogni singolo dettaglio della donna con fare indagatorio.
Risalendo velocemente le scale cercando di non incontrare nessuno, la sig.ra Qualunque pensava che non avrebbe potuto tenere il suo segreto ancora per molto. Una volta a casa si guardò allo specchio e si trovò imbruttita ed invecchiata in un secondo. Guardò la foto del matrimonio che la ritraeva con il sig. Qualunque. Sembravano felici, erano così giovani. Fece un sospiro, si cacciò in bocca uno xanax e andò a letto.
Nel suo piccolo bilocale Marisa era seduta alla finestra accarezzando Felipe, il suo gatto nero e bianco e pensando.  Che fine aveva fatto il sig. Qualunque? E la sua Twingo blu come mai era sempre parcheggiata nello stesso posto? Stava veramente male?
 Li aveva sentiti spesso litigare nell’ultimo periodo e poi più nulla, il silenzio completo.
  Prendendo la sua monoporzione di spinaci dal frigo, Marisa pensava che aveva molte amicizie tra i carabinieri, un’ex frequentazione e che magari poteva fare una telefonata e…
“Sig.ra Qualunque, che rapporti aveva con suo marito?”
La sig.ra Qualunque sedeva a gambe strette su una scomodissima sedia del commissariato, sguardo a terra.
“Era mio marito, la mia metà” disse singhiozzando.
Il poliziotto la guardava senza espressione, prendendo appunti sul suo taccuino.
“Eppure i suoi vicini l’hanno sentita spesso litigare con lui” disse il poliziotto, come se recitasse un copione.
Eccola qui un’altra casalinga disperata che uccide il marito, frustrata da una vita che non le appartiene, annoiata dalla quotidianità, dalla vita di tutti i gg. E poi ricomincia a vivere come sempre, facendo finta di niente.
“Ma si certo capitava, a chi non capita di litigare” disse la sig.ra Qualunque, asciugandosi le lacrime con il lembo della vestaglia.
E no, a me non capita, brutta babbiona. Io ormai sono uno scapolo d'oro. Come sarebbe stato bello se Marisa mi avesse accolto nella sua vita, ma dopo quella scenata di gelosia per il padre di uno dei suoi alunni non ne aveva mai voluto più sapere di me. Ma forse mi ha chiamato perché prova  ancora qualcosa per me. D'altronde al telefono mi aveva detto:” uno come te è indimenticabile”. Ah Marisa...
Nella stanza entrò un altro poliziotto di scatto buttando sulla scrivania un tagliacarte sporco di sangue. Il primo poliziotto si svegliò dal suo sogno e la sig.ra Qualunque, alla vista dell’oggetto, svenne a terra.
Quando si risvegliò era in prigione, su un letto stretto e beige a fissare le pareti di mattoni. Piangeva perché la sua vita era finita, piangeva perché ormai non poteva più fingere, piangeva per le cose che non aveva più fatto a cui aveva rinunciato per il suo matrimonio. Piangeva perché non poteva credere di ritrovarsi dietro alle sbarre. E mentre piangeva si toccava il livido che ancora aveva sulla schiena dell’ultima volta in cui era stata percossa dallo stesso uomo che l’aveva portata all’altare.
Così la maestra Marisa sorrideva leggendo i titoli del giornale, che annunciavano che la Sig.ra Qualunque, una settantenne di Torino era stata accusata di omicidio del marito, un pensionato di settantaquattro anni. Il suo corpo era stato trovato murato nell’appartamento di via San Paolo al quarto piano.
Il telefono squillò.  Era Assunta, una cara amica di Marisa.
“Hai risolto un altro mistero, eh Marisa?” disse Assunta
“ Eh si! Dovevo fare il detective e non l’insegnante” disse Marisa civettuola.
“Poveretta però, pare che lui la picchiasse” disse Assunta.
“Se le meritava quella spacca palle di moglie” disse Marisa con fare deciso. “Vogliono avere un marito? Bene, beccatevi le conseguenze. Beccatevi le gelosie, i compromessi, le infedeltà. Tanto tutti tradiscono sempre tutti. Tutti sono colpevoli”.
“Sei sempre così estrema Marisa” disse Assunta scuotendo la testa dall’altro capo del telefono. “Guarda che ci sono anche coppie felici e uomini fedeli e normali. Se solo avessi un po’ più di fiducia anche tu troveresti l’amore” disse Assunta.
“Io non ho bisogno di nessuno, disse Marisa. Nessuno che mi controlli, che mi dica cosa fare, a cui render conto, per cui farmi la ceretta. Decido io cosa voglio fare, quando e con chi” disse Marisa, come a volersi autoconvincere.
“Va bene va bene! Solo non arrabbiarti con me Marisa, io lo dicevo perché ti voglio bene”
“Sì ma come vivere lo decido io!” disse Marisa, indice sul petto.
“ D’accordo come vuoi.” disse Assunta alzando gli occhi al cielo. “Ora devo andare, ci sentiamo!”.  Voleva molto bene a Marisa ma a volte la trovava troppo radicale e pesante.  Sempre a tracciar limiti e confini, sempre a voler ribadire che stava bene da sola, sempre a guardare la vita degli altri dall’alto in basso.
Nel frattempo Marisa pensava alla sua vita. Dalla finestra guardava i bambini correre nel cortile della scuola proprio davanti casa, le macchine muoversi avanti e indietro, il sole illuminare il palazzo di fronte. Era fiera della sua vita, della sua indipendenza, però sentiva che in fondo al cuore, sotto strati di autonomia e rigidità le mancava qualcuno accanto. Allora prese il pc, si collegò ad internet e come ogni sera entrò sul suo account di Tinder cercando un altro cuore come il suo, che era tanto grande ma anche tanto spaventato.

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