Ecco una poesia che già ai suoi albori racchiude un senso profondo dell'ineluttabilità delle cose e di certe scelte della vita: né mai più. È per il suo incipit così forte e triste che si fa ricordare.
E questo continuo salto spazio-temporale tra il momento in cui l'autore scrive (XIX sec) ed il passato dell'antica Grecia. Foscolo parla di scelte politiche che lo hanno fatto allontanare dalla sua terra natia ed opera dei paragoni tra il suo peregrinare continuo, forse una costante ricerca di sé e Il peregrinare di Ulisse, volto però a tornare ad Itaca e accenna alla bellezza di Zante paragonandola alla dea della bellezza.
Ho ripensato a questa poesia una notte in cui ho fatto una scelta molto importante e molto definitiva nel mio cuore e i miei occhi si sono incastrati in quella triplice negazione.
Ho pensato a cosa potesse voler dire per Foscolo, esiliato, allontanato, dalla sua terra, quasi divelto da se stesso. Una scelta che consciamente l'autore aveva preso, seppure a grande malincuore come nel mio caso.
Ma è sempre così. Quale scelta non comporta rinunce?
Nel mio caso, la mia Zante è più vicina di quanto non fosse per Foscolo e non mi è bandita.
Ma lui preromantico vedeva le cose come nello Sturm und drang: fulmine e tempesta. Tutto all' ennesima potenza. Così un allontanamento diventa un esilio senza confini, e una terra a cui non si può tornare diventa "sacra", la sua morte diventa " illacrimata" perché nessuno potrà piangerlo dato che sarà sepolto in un luogo dove non lo si conosce.
E l'unica possibilità in questa tempesta di emozioni, in questo presente che non ha un nome né un tempo è rifugiarsi nella fanciullezza, un tempo felice e lontano a cui il poeta può sempre tornare, indipendentemente dalle sue scelte di vita e dal contesto politico in cui esse si inseriscono.
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