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Teresa correva un piede dietro l'altro
dentro alle sue nuove Nike fucsia e arancioni, chiedendosi cosa aveva
vissuto in quell'ultimo mese. Ci sono momenti della vita che seppur
brevi paiono dilatarsi nel tempo come se fossero anni. E questo
succede quando vivi a mille, quando viaggi a una velocità superiore
alla media. E lei era una che andava di fretta sempre e da sempre
nella vita. Suo padre diceva che lei era frettolosa non aveva mai
avuto la pazienza di aspettare. L'attesa per lei era sempre stato
tempo perso e sprecato, una specie di vuoto a perdere.
Così Teresa andava indietro nei
giorni, polmoni affannati e coda di cavallo. Fasciata nei suoi
leggins neri.
Pensava che non vedeva l'ora di
stringere la sua Camel light tra le dita, di sentire la nicotina
attraversarla, e di espirarne il fumo e con esso un po' del dolore
che in quel momento la stava inquinando.
Aveva conosciuto così Federico, un
giorno che andando verso l'ufficio prima di una riunione importante,
l'aveva visto sulla soglia della tabaccheria di via Lagrange.
È una delle più belle vie di Torino.
In centro, piastrelle quadrate di porfido, vetrine di negozi costosi
ed eleganti. Sulle sue Louboutin di vernice nera, gonna aderente e
camicia bianca Teresa vide quel ragazzone alto ed elegante, quello
sguardo stanco e un po' grigio e la pelle bianca e liscia.
Fumava anche lui, tenendo una mano
nella tasca dei jeans. Vedendola avvicinarsi e guardandola con
l'occhio acceso dal desiderio, Federico le disse :
“Buongiorno” con un sorriso
sornione, gettò rapidamente la cicca fuori dalla tabaccheria e si
mise dietro il bancone.
Lei notò le pieghe ai lati del
sorriso, il tono di voce delicato e quasi femmineo. Decise di
entrare. Decise, attratta e agitata per la riunione, che era il
momento di ricominciare a fumare.
Un pacchetto di Camel light disse lei,
tenendo la banconota tra indice e medio, come se stesse già
riprendendo confidenza con la sigaretta.
Lui osservava incuriosito ogni gesto,
ogni movimento, la seguiva in ogni singolo dettaglio. Lei si sentiva
accarezzata dall'eleganza del suo sguardo, avvolta completamente.
Quando lui le diede il resto le loro
dita di toccarono. Pelle liscia lui, mani svelte lei. Uscì di corsa
dal negozio senza voltarsi, ma sentendo lo sguardo di lui
attraversare la vetrina e accarezzarle il collo.
Uscita dal negozio, reggendo la sua
ventiquattr'ore e correndo sul tacco tredici diretta all'ufficio
Teresa se ne accese una, inalò quel profumo familiare, quel misto di
bruciato, carta, fiammiferi. La avvicinò alle labbra e aspirò con
forza. Sentiva il fumo in ogni angolo del suo corpo, una sensazione
così piena e totale che non avvertiva da quando Luca, il suo ex,
l'aveva costretta a smettere perchè il gusto della sigaretta a lui
faceva proprio schifo. A distanza di anni a quel pensiero
Teresa scosse la testa, quante cazzate si fanno per amore, no?
La riunione andò bene. Una volta
rientrata a casa e lanciate le scarpe a casaccio dopo aver chiuso la
porta dietro le spalle Teresa ripensò alle fossette del tabaccaio.
All'odore della tabaccheria, un odore di cantina, di umidità, di
segreti antichi e di tabacco. Rivide le borse grigie sotto gli occhi,
che tradivano notti insonni passate a pensare o a ripensare a
chissàchi a chissàcosa. Lo immaginava di notte, a far conti in
quell'antro piccolo che stava in via Lagrange, una tabaccheria li da
anni ma che lei non aveva mai notato prima.
Il giorno seguente Teresa decise che
era ora di un altro pacchetto di sigarette. Rivide il cardigan blu di
Federico, anche se era una calda giornata di maggio. Sua madre gli
aveva insegnato che bisogna sempre coprirsi ed in tabaccheria la
temperatura era molto più bassa di fuori.
“è sempre un piacere vederti”
disse Federico, lisciandosi il pizzetto tra indice e pollice.
Teresa sorride, lo fissò occhi negli
occhi.
Lui abbassò lo sguardo, intimorito
dalla sua decisione, dallo scintillio di energia che lo investiva
ognivolta che lei lo guardava.
“Dai non fare il timido, sei troppo
elegante per esserlo” disse Teresa
“Troppo elegante” disse lui,
fissandosi la punta delle scarpe e voltandosi per prenderle il
pacchetto azzurro.
“Sì, un vero elegantone” disse
lei. Gli allungò la solita banconota, continuando a guardarlo. Lui
la fissò e ora anche gli occhi di lui sorridevano.
“Pensi che un elegantone possa
chiedere a una come te di uscire?” disse lui, e un lampo passò
attraverso i suoi occhi
“Penso che l' elegantone dovrebbe
provare a rischiare con una come me”
Girò i tacchi e uscì dalla
tabaccheria.
Teresa si sentiva forte, forte della
sua sicurezza e del suo essere decisa. A lavoro ne aveva fatto un
marchio di fabbrica. Dirigeva una casa editrice e faceva quello che
era stato da sempre il suo sogno nella vita. La sua forza, la sua
tempra era un dato di fatto. Era cresciuta senza nessuno, senza
conoscere la sua famiglia d'origine. Fino a 18 anni in un
orfanotrofio, poi sballottata tra una famiglia adottiva ed un'altra.
Finché non aveva conosciuto il suo ex Luca che per lei era diventato
tutto. La sua famiglia, il suo unico riferimento. E poi più nulla.
Ma nessuno è mai veramente definibile
con un solo colore. Nessuno è solo forte o solo debole. Anche i più
forti hanno delle fragilità, magari sono semplicemente nascoste
dietro strati e strati di apparente indifferenza. E il cuore di
Teresa era grande ma anche molto fragile e sensibile.
Così giorno dopo giorno le Loubotin
nere di Teresa passarono più volte in rassegna la tabaccheria di via
Lagrange, e il retrobottega della tabaccheria, e la macchina di
Federico, e il suo monolocale proprio sopra la tabaccheria.
Un cuore apparentemente forte incontrò
un cuore solo apparentemente debole. Così la forza di Teresa si
sciolse quando lui per la prima volta cucinò per lei. Lei odiava
cucinare. Diceva di essere la testimonial di Quattro salti in
padella. Era cresciuta a solitudine e surgelati, e forse a furia
di quella cucina pensava di essere riuscita a surgelarsi anche il
cuore.
Ma quando ci si trattiene troppo,
quando si mettono barriere ai sentimenti per proteggersi da quello
che è inevitabile, inevitabilmente le delusioni bruciano ancora di
più.
Teresa correva correva, scuotendo la
testa come se questo la aiutasse a dimenticare quel mese di magia
vissuto con Federico. E mentre correva, un piede dietro l'altro,
piangeva e si asciugava frettolosamente le lacrime come a cacciarle
via dalla sua mente e dal suo cuore.
Ma non poteva, non ci riusciva. Non
riusciva a dimenticare quel pomeriggio che, tornata da una giornata
al mare con le amiche, era corsa sulle stesse Nike verso via
Lagrange, al pensiero di non poter aspettare di rivederlo. Di
rivedere la sciarpa indaco di Federico (che poi una pashmina a
maggio era proprio da folli, con il caldo che faceva Torino), di
toccare i suoi fianchi morbidi ed accoglienti, respirarne il profumo,
strofinare il viso contro il suo cardigan di Ralf Laurent. Quel
pomeriggio che lei, responsabile di una casa editrice, sempre stretta
nei suoi tailleurs neri correva in shorts per una delle vie più
eleganti del centro, fregandosene dei passanti che la fissavano, che
guardavano quella matta coi capelli al vento e gli occhi neri andare
veloce come il vento, con il cuore e i sentimenti in mano, che
correva e non si era mai sentita così viva e così ebbra di vita e
di amore (o di qualunque cosa fosse). E voleva correre e al contempo
custodire quella sensazione così folle e così intensa che le
riempiva il cuore l'anima e gli occhi.
E così ripensò al momento in cui lei
lo raggiunse, coda di cavallo e trafelata e lo abbracciò. Un
abbraccio lungo, tempo indefinito. Lui, sguardo perso, stupito, forse
esterrefatto.
E' proprio persa questa, pensava
Federico. Ecco l'ennesima che cade ai miei piedi. Eccheppalle.
Tutte uguali 'ste donne. Due moine due complimenti e anche la più
algida delle algide perde totalmente la testa per me.
Ma lo sguardo di Federico non tradiva
nulla di tutto questo. O forse Teresa era troppo presa dal suo cuore
per accorgersi che era tutto a senso unico.
Col tempo le chiamate di lui si
diradarono, così come i messaggi. Lui divenne sempre più vago e lei
sempre più coinvolta.
Teresa piangeva, il rumore delle foglie
del parco sotto il suo passo scattante. Continuando a pensare a
quanto era stata stupida e cieca e assolutamente e immotivatamente
folle. A credere a tanta eleganza, a crederlo l'uomo perfetto, solo
in virtù della sua spiccata sensibilità e morbidezza nei modi.
Scuoteva la testa, perchè non sapeva chi era quell'uomo così dolce
e così incredibilmente indifferente.
Allo scadere del mese lei gli fece una
sceneggiata, una di quelle in stile napoletano, teatrale e rumorosa.
Gli disse che non ne poteva più dei suoi “magari ci vediamo”,
del “ti chiamo io” che poi finivano in mancate telefonate,
mancati incontri. Che tra di loro c'era qualcosa e che lui fingeva
che non fosse così e che lei non poteva accettare più quella
situazione.
Lui si spaventò. Sgranò gli occhi
come se lo stessero impiccando: in quel momento la sensazione era
proprio quella di un cappio al collo.
Ma questa che vuole. Quattro
bacetti, un po' di intrattenimento e ora cosa pretende da me? Meglio
che la scarico subito.
Le disse “dai Teresa non fare così,
che il rapporto tra di noi si rovina”
Lei, rossa in volto senza trattenere la
rabbia gli disse “Vai al diavolo!” e si allontanò piangendo.
Sentii che quello era un addio. Che era
una rottura definitiva. Lo avverti alla pancia, come quando senti le
cose ma senza che ci sia una spiegazione razionale.
In effetti l'indomani quando lei lo
chiamò lui smise di risponderle. Le arrivò solo un messaggio in cui
lui si scusava dicendole “mi dispiace ma in questo momento ho delle
altre priorità nella vita e non ho tempo per nessuna. Addio”.
Teresa non volle credere di essere
stata scaricata come Carrie in Sex and The city con un
messaggio. Anche se Carrie era stata mollata con un post-it. Ma il
senso era identico e la sensazione anche..
E mentre continuava a correre per il
Valentino si chiedeva cosa era stato quel mese, cosa aveva vissuto,
chi aveva conosciuto?
E si chiedeva cosa fossero i
sentimenti, se fossero la forza vera, la forza ed il coraggio di
rischiare di abbandonarsi, di rendersi fragili e vulnerabili di
fronte alle persone e alle situazioni. Oppure i sentimenti erano una
fregatura? Un esporre il fianco ad un potenziale nemico che poteva
ferirci e basta?
E mentre si allontanava andando avanti
verso la sua vita, si diceva che a volte l'importante quando non si
hanno le risposte è di farsi le domande e di farsi quelle giuste.
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