Cassetti
Stefania sapeva che quel rapporto era finito da tempo, da
prima che scoprisse il tradimento di Marco. Lei stessa aveva voluto la fine di
quella relazione. Eppure faceva male. Faceva male non riconoscere più la
persona con cui aveva passato un terzo della sua vita. Come sempre accade nei
momenti difficili aveva bisogno di sfogarsi e per farlo si incontrò con Chiara,
un’amica che era in grado di cogliere tutte le sfumature della sua anima.
“La cosa peggiore sai qual è?” disse Stefania scaldandosi le
mani attorno alla tazza di caffè bollente.
“non riconoscere più la persona con cui ho condiviso un gran
pezzo di vita”
Chiara si accarezzava la chioma ginger e annuiva.
“Come se un giorno mi fossi svegliata e accanto a me ci fosse
un altro, uno con una faccia diversa che prima non avevo mai visto”.
“Lo so tesoro” le disse Chiara, toccandole la mano e
stringendola un po’ per farle capire che le era vicina.
“E dopo tutto questo mi chiedo dove va a finire il bene, il
buono che c’è stato tra di noi, le cose belle? “ parlando Stefania guardava
fuori dal bar per cercare le parole giuste da dire, i concetti. I suoi occhi
neri persi, oltre il vetro del locale a cercare un significato.
“Se una persona ci ha fatto del bene e poi ci ha ferito o
deluso, dove va a finire tutto quel bene che c’è stato? In che cassetto lo
mettiamo?”
Chiara sorrise, all’idea che i sentimenti potessero essere
davvero confinati in dei cassetti. Si tolse gli occhiali, li pulì con
attenzione e rimettendoseli disse:
“quel bene va messo nei cassetti delle cose belle ma vissute
e passate”. Fece una pausa, congiungendo le mani quasi a mo’ di preghiera e
rigirandosi l’anello d’ambra attorno al dito, disse:
“non possiamo e non dobbiamo dimenticare il buono che c’è
stato. Sarebbe come cancellare un pezzo di noi. Semplicemente quel bene va
messo in un cassetto e chiuso. Riaprirlo farebbe troppo male ma cancellarlo
sarebbe come non riconoscerlo” e fece un gesto plateale con la mano muovendola
dal basso verso l’alto in obliquo.
“E dove lo mettiamo il bene che proviamo per quella persona,
quando ancora c’è, nonostante tutto?” disse Stefania, giocherellando con la
collana che indossava.
“Oh tesoro! “ disse Chiara, sorridendo e portandosi una mano
alla bocca “troveremo un cassetto anche per quello!” e insieme risero.
Ridere era davvero una terapia fantastica. Contro la
tristezza ed il senso di solitudine che Stefania nella sua vita aveva avvertito
da sempre. Un’infanzia abbastanza normale, una sorella bellissima e con un buon
carattere in confronto a cui si era sempre sentita sbagliata. La realtà dei
fatti era semplicemente che lei era diversa. Ma quando sei la sola diversa in
una realtà fatta di persone più o meno simili, il senso di solitudine e di
inadeguatezza diventano fortissimi.
Oltre alla risata una grande terapia per lei da sempre,
erano stati i viaggi. Erano la sua dimensione. Era un allontanarsi da
se stessa e da quello che aveva vissuto e uno scoprirsi nuova, un modo per
incontrare persone e culture lontane da se con cui confrontarsi e da cui
imparare. I viaggi avevano insomma uno strano
effetto di allontanamento e contemporaneamente di avvicinamento a se. Durante il diciottesimo secolo i giovani rampolli facevano il gran tour, che era un’esperienza di
vera formazione. Ecco Stefania non era davvero definibile come un’aristocratica
ma l’effetto che i viaggi sortivano su di lei era certamente lo stesso.
Così decise ancora una volta che viaggiare era il mezzo per
riappropriarsi della sua vita e per ripartire da zero. Sapeva che aveva bisogno di mettere un po’ di
distanza tra se stessa e quello che aveva vissuto fino ad allora. Tra la
Stefania che aveva vissuto con Marco e quella che al momento non aveva identità
e che doveva conoscersi ed incontrarsi.
Decise una meta lontana, oltreoceano.
“La cosa più giusta è mettere almeno un continente tra me e
quello stronzo” si disse, chiudendo l’ultimo bottone della camicia in alto,
mentre si guardava allo specchio.
Prese la sua valigia turchese e iniziò a buttarci cose alla
rinfusa: un vestito nero, un paio di tacchi, le sue all stars bianche,
quintalate di mutande, calzini colorati, un maglione blu di pile per il freddo,
un costume, un ombrello, e… mentre continuava a riempire la valigia suonò
Chiara, e una volta vista la valigia e il contenuto le disse:
“parti per la Giordania? Il giubbotto anti-proiettili l’hai
messo in valigia?”
Stefania era così presa dal pensiero di dimenticare qualcosa
che le rispose “Oddio, non so nemmeno dove si compra!”
E Chiara scoppiò a ridere, le strofinò una mano in faccia e
le disse: “ma scherzo scema!” e di nuovo la fece ridere.
“Mi mancherai” disse Chiara a Stefania, stringendola in un
abbraccio.
“Anche tu, ma ci sentiremo ogni giorno” disse Stefania
mentre si asciugava una lacrima che rapida le scorreva sul volto. Si
conoscevano da poco eppure tra loro il legame era molto forte. Erano anime
simili, affini che camminavano con lo stesso passo.
Così Stefania oltrepassò il gate a Malpensa. Nessuno la
guardava andare via mentre si portava dietro il suo valigione turchese. Eppure
lei aveva salutato lo stesso le persone che guardavano i propri cari partire
per chissà dove. Sentiva che un addio così, anche finto all’aeroporto, avrebbe
reso la partenza un po’ più poetica e si sa, nella vita la poesia non è mai
troppa.
Così in dodici ore si ritrovò a Buenos Aires, meta che aveva
scelto un po’ per il significato del posto (aria buona) un po’ per come se
l’era immaginata: un luogo dove la gente ballava tanto tutto il giorno, beveva
vino ed era sempre allegra. E poi gli argentini avevano un fascino!!
Scese dall’aereo e come accadeva tutte le volte che faceva
un viaggio, le sembrò molto curioso potersi trovare dall’altro capo del mondo
lo stesso giorno in cui al mattino era a chilometri e chilometri di distanza.
Aveva comprato solo il biglietto di andata perché voleva
viversi il viaggio così come veniva, imparare andando - senza programmare
nulla. Non aveva un posto dove dormire: insomma niente di niente. Un’avventura,
sola con se stessa.
Quando però l’adrenalina del nuovo passò e lei iniziò a
girare per le strade della città, col suo valigione, il peso di un viaggio
lunghissimo addosso e l’odore di aeroporto nei capelli e nelle narici, l’ansia
prese il sopravvento.
E se non trovo dove
dormire? Oddio che ore sono? E che ore sono in Italia? Famee! Da quanto non
mangio, un piatto di spaghetti con le cozze. Si lo mangerei eccome! Oddio mi
gira la testa…
Cadde a terra svenuta, proprio di fronte ad un negozio di
frutta e verdura che stava per chiudere. Quando si svegliò, di fronte a lei
c’era un ragazzo coi capelli neri e ricci che le sorrideva.
“Mamasita mamasita que tal?”
Stefania vide quello sconosciuto starle a poco più di 5 cm
dalla faccia e cacciò un urlo: “aaah!”
Il poverino balzò indietro e cadde a terra pure lui.
Poi si guardarono entrambi e scoppiarono a ridere!
Lui si chiamava Lorenzo, suo nonno era Italiano, di Trapani.
Ma in Italia non c’era mai stato.
Conosceva abbastanza bene l’italiano però.
“Mio nonno siempre parlava italiano” disse lui. Aveva un
sorriso che incantava e una cadenza cantilenante, tipica degli argentini.
“Ah, bene!” disse Stefania accarezzandosi la testa e notando
che per la caduta le era spuntato un bel bernoccolo.
“Eh si!” disse Lorenzo. “Hai fatto un bel rumore cadendo!”
“Ma che ti ridi!” disse Stefania, guardandolo di sottecchi.
Lui si sentì trafitto dallo sguardo di lei, una cosa che non
gli era mai successa. Come se il suo sguardo lo penetrasse e riuscisse a
toccarlo dentro, nelle profondità del suo io, a stritolargli un po’ l’anima,
strattonarla e lasciarlo senza fiato.
“Stai bene Lorenzo?” le chiese Stefania, vedendolo vago e
distante
“Ma si claro che sto bene, guapita” e sorridendo a trentadue denti,
al suo solito. “sei tu che sei caduta e dovresti mangiare un po’ e stanotte se
vuoi puoi dormire da…me” lo disse esitando un po’, la voce per un nanosecondo
gli era tremata, come se nascondesse qualcosa.
Ma Stefania era li, sola e non conosceva nessuno. E questo
sconosciuto la aiutava per la seconda volta nel giro di pochi minuti. Lorenzo
non era particolarmente bello e questo agli occhi di Stefania lo rendeva più
affidabile, e poi aveva lo sguardo gentile e tanto le bastò per fidarsi di lui.
Così accettò di dormire a casa di Lorenzo. Era una casa piccolina e lui si era
offerto di dormire sul divano e le aveva lasciato il letto matrimoniale,
insomma era stato un vero gentleman.
Stefania sentiva che l’Argentina era il suo posto, che se ne
stava innamorando e che sarebbe stato un amore ricambiato.
Il giorno dopo Lorenzo si offrì di accompagnarla a cercare
un hotel dove poter rimanere per un po’.
“No te preocupes guapita! Conosco il proprietario dell’hotel
vedrai non spenderai molto” disse Lorenzo, allisciandosi i capelli.
Stefania lo seguiva incuriosita dal suo atteggiamento così premuroso
e gentile, tra il grato e lo stupito. Non riusciva a capire bene perché Lorenzo
fosse così gentile con lei. Di sicuro
dovrò fargli un gran regalo pensava! Mi sta aiutando tantissimo!
Lorenzo guardava le ciglia nere di Stefania, iniziava a
conoscere tutti i suoi sorrisi. Si perdeva nel colore scuro della sua pelle,
nel nero dei suoi capelli, nel suo profumo agrumato. Starle accanto era come
essere sempre in vacanza, spensieratezza e risate. Era bello.
Stefania trascorreva le sue giornate fotografando l’incanto
di Buenos Aires: l’oceano che lambiva la spiaggia, i bambini che ti sorridevano
per strada, la milonga ballata in ogni dove, i colori: il rosso del vino,
l’azzurro del cielo. Un posto che era come una magia.
Sentiva che lì la sua vita ricominciava davvero. Lei cresceva, cambiava, andava avanti passo dopo passo. Si allontanava dal suo passato, forse era davvero riuscita ad infilarlo tutto in un cassetto e ad aprirne uno nuovo. Un cassetto nuovo che parlava delle cose che le piacevano: parlava di lei, della fotografia, che aveva i colori di Buenos Aires, il profumo del mare, i sorrisi di cui ogni sua giornata era piena, le storie delle persone che aveva incontrato, la consistenza granulosa dello zucchero di canna, il gusto spesso del vino rosso.
E una sera Lorenzo decise di portarla a cena a mangiare
aragoste.
Lei indossava una gonna color rubino e un top nero.
“que guapa eres” disse Lorenzo, sguardo fisso su di lei
“grazie Lorenzo” disse Stefania, stampandogli un bacio sulla
guancia. Era la prima volta che lei si avvicinava a Lorenzo così tanto. Lei
sentì il profumo della sua pelle: sapeva di pane, di cose familiari e vicine.
Lui avvertì il calore della sua pelle e il desiderio di
stringerla forte a se.
Mangiarono aragoste sulla riva del mare. Bevvero. Stefania iniziò a ridere, come le
succedeva sempre quando beveva e Lorenzo a tenere lo sguardo sempre più fisso
su di lei. Tornarono al negozio di Lorenzo senza parlare, semplicemente
sfiorandosi le braccia di tanto in tanto e lanciandosi delle occhiate come
fuochi d’artificio tutto il tempo. Ogni volta che le loro vesti si toccavano
sentivano scintille correre lungo la spina dorsale e infiammare le carni.
Arrivarono alla serranda del negozio. Si guardarono. Fissi,
muti. Che a volte le parole non servono a nulla. Lui le fissava le labbra rosse
e carnose. Non poteva distogliere lo sguardo dalla riga verticale che solcava
simmetrica il labbro inferiore. Lei lo fissava negli occhi, di sottecchi.
Fu un attimo. Lorenzo la spinse contro la serranda del
negozio. La strada era deserta. La prese lì. Sentì il calore del suo corpo, lei
il suo profumo, le sue mani delicate.
Passarono i giorni, giorni pieni di momenti come questi,
giorni passati a ridere, a guardarsi, a confidarsi cose sulla vita e a non
dirsi cose sull’amore.
Stefania sentiva di essere finalmente lontana da Marco.
Lorenzo sentiva che qualcosa spingeva forte nei suoi pantaloni. Era affascinato
da Stefania. La sua luce, la sua energia vibrante, le risate fragorose. Ma tra
di loro qualcosa di non detto effettivamente c’era.
Quel qualcosa si materializzò un giorno al negozio di ortofrutta.
Si chiamava Anita. Un donnone che a dispetto di un nome tanto delicato aveva la
stessa grazia di un elefante. Arrivò al
negozio, prese Lorenzo per il bavero della giacca e stampandogli un bacio in
bocca disse: “amore mio quanto mi sei mancato”.
“E lui?” le chiese Chiara dall’altro capo del telefono.
“E lui niente, ha fatto finta che io non ci fossi, che non
sapesse chi ero” disse Stefania in lacrime.
“Che pirla! Il classico tipo che prima scopa in giro e poi
quando torna la fidanzata diventa un agnellino, uno yes man” disse Chiara, con
la sua solita vena sarcastica.
“Sì il problema è che ha scopato me e ora sto di merda” e la
sua voce si ruppe in quell’esatto momento.
“Tesoro, torna a casa. Torna da me”
“Non lo so Chiara. Io sento che lui mi ama” disse Stefania
sospirando.
“facciamo così, tu torna a casa. Se davvero ti ama sarà lui
a venirti a cercare”
Lorenzo era una povera anima, che non sapeva nemmeno lui cosa
voleva. Il negozio di ortofrutta era di Anita e lui si era messo con lei per
convenienza. Anita gli aveva dato un lavoro e lui le aveva dato un pezzo di se.
E ancora una volta in tutto questo Stefania non sapeva che
significato dare a tutta quella storia. Chi era Lorenzo? Cosa era stata lei per
lui?
Esisteva davvero quel ragazzo gentile che aveva conosciuto
al suo arrivo a Buenos Aires? Oppure lui era la persona che aveva visto con
Anita?
Stefania capì che quell’esperienza le insegnava che ancora
una volta doveva pensare a se stessa. . Aveva tanta vita davanti e tante
avventure. Lorenzo era semplicemente un’altra persona da mettere in un cassetto.
Solo un cassetto non sarebbe mai stato chiuso nella vita di Stefania: quello
delle amiche.
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